martedì 16 marzo 2010

CHE GUEVARA : MITO E FALSITA'

“La mia patria è laddove si combatte per le mie idee”. Perdonateci (se potete), ma non riusciamo proprio a trovare niente di meglio a questa evoliana citazione per descrivere quel medico argentino che, da Cuba alla Bolivia passando per il Congo, fece della rivoluzione socialista, incarnata nella lotta all’oppressione statunitense, il motivo della propria esistenza. Eh si, stiamo parlando proprio di lui: a quasi quarantatre anni dalla sua esecuzione riesce ancora, con la sua immagine di guerrigliero vissuto e trasandato, ad infiammare il cuore di molti. Dalle chiassose piazze alle più “contenute” sale-conferenza è ancora oggetto di discussione, di lode e perché no anche di critica. Contro le aspettative di molti e le rosicate di troppi, queste poche righe di studio vanno ad Ernesto Guevara de la Serna detto El Che. Un approfondimento più che doveroso, compiuto da una (contro)parte politica, dalla quale chiunque si aspetterebbe la glorificazione di ben altri personaggi storici. Erroneamente. Perché? Innanzitutto cominciamo subito coll’affermare che è alquanto contraddittorio considerare l’icona del rivoluzionario che si è battuto contro il capitalismo, un marchio registrato con tanto di proprietari ai quali pagare i diritti d’autore. Perciò, chiunque si rispecchi nei valori di coraggio, libertà, anticapitalismo e giustizia sociale può fare proprio l’esempio militante del Che. Chiarito questo, ormai quarantennale, malinteso vediamo di mettere in luce ciò che accomuna la nostra battaglia politica con la visione che ebbe anni fa’ il Comandante. Oltre ad essere stato un fervente socialista (da sempre in dissidio con l’URSS e il suo modello) E. G. fu’ un nazionalista convinto: ammiratore di Jose Antonio Primo de Rivera, leader dei falangisti spagnoli; non nascose mai le sue simpatie per il presidente argentino Juan Domingo Perón, leader dell’omonimo partito d’ispirazione fascista. Ma è proprio nella fase successiva al decesso che comincia a riscuotere consensi dalla cosiddetta “destra radicale”, italiana e non: tempo un mese, due autori del Bagaglino, il cabaret romano “spudoratamente di destra”, elaborano una ballata in onore del Che; l’anno seguente viene girato il primo film sulla vita e sulla morte di Guevara con soggetto e sceneggiatura di Adriano Bolzoni, reduce di Salò; per non parlare del Une passion pour Che Guevara scritto dal tradizionalista francese Jean Cau; concludendo con il più recente Lotta e Vittoria Comandante di Gabriele Adinolfi leader del disciolto gruppo extra-parlamentare terza posizione. Ma chi è stato davvero per noi quest’Uomo? “Semplicemente” il rivoluzionario che, dopo aver liberato Cuba, al grido di me ne frego, rifiutò la poltrona di ministro continuando la lotta armata per la causa anticapitalista in altre nazioni, a nostro parere la massima tramutazione in sostanza dell’espressione il sangue contro l’oro.
Pensando poi a tutte quelle carnevalesche manifestazioni in cui il Che viene sventolato tra una bandiera dell’arcigay e una della pace (quale pace? quella “esportata” nel 2000 in Kosovo?) , non possiamo che scoppiare a ridere in faccia verso coloro che ancora ci accusano di “appropriazione indebita”. A questi bipedi ricordiamo che il Comandante oltre ad essere stato il promotore della campagna contra los maricones, di sicuro nei suoi innumerevoli scontri a fuoco non era uno che “metteva i fiori nei propri cannoni”. Calza a pennello la citazione dell’ex statista cinese, nonché estimatore reciproco di Ernesto Guevara, Mao Tze Tung: “La rivoluzione non è un pranzo di galà, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza”.

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