mercoledì 14 aprile 2010

“IL FIGLIO NOBILITA LA DONNA”

Nell’era delle avventure e delle coppie aperte, delle separazioni e divorzi, dei tradimenti disinvolti e passioni fugaci, in cui il termine famiglia è stato violentato da convivenze “alternative”, perdendo il suo autentico significato e ogni valore, i ragazzi di oggi si ritrovano abbandonati in questo disorientamento quotidiano, senza trovare modelli adeguati.
In questa società frenetica avere un figlio è divenuto cosa da poco, che non richiede nessun impegno e serietà,un inciampo imprevisto, una banale disfunzione contraccettiva da risolvere sbrigativamente per non mettere a repentaglio il futuro delle giovani o la frivola libertà di padri incoscienti.
Tralasciando le ridondanti trattazioni sull’aborto, un altro aspetto deve essere criminalizzato: la ritirata del padre biologico lasciando ogni disagio economico, sociale ed emotivo alla povera disgraziata, accusata d’onta e poca virtù,senza assumersi in maniera categorica ogni diretta responsabilità, ma ricorrendo con leggerezza all’ignobile fuga.
Nella nobile sapienza popolare germanica è sostenuta la massima “Das kind adelt die Frau” ovvero “Il figlio nobilita la donna” sottolineando come una madre abbandonata a se stessa, non sia meritevole di vergogna o disonore, ma debba ricevere sostegno dalla comunità, screditando e sanzionando al contrario l’uomo, colpevole di tal vigliaccheria.
Nella Germania del ‘35 infatti è stato realizzato il progetto “Lebensborn”(Sorgente di vita), che comprendeva inizialmente cliniche di accoglienza, soccorso e tutela per giovani incinte di figli illegittimi di padre tedesco, alle quali veniva riservata la migliore assistenza per il parto.
Specializzate per la tutela delle partorienti non sposate, abbandonate e sole,era un ambiente libero da ogni pregiudizio, lontano dallo smog cittadino e da affaticamenti domestici.
Lo Stato donava un sussidio e un’ equipe di medici scelti che si occupava della salute e dello sviluppo psico-fisico del feto. Non si era inoltre obbligati a tenere il proprio bambino, se si preferiva ritornare alla quotidianità con un anonimato garantito.
Fu un valido tentativo per spingere le mamme a ricorrere a queste associazioni d’aiuto, invece che ad aborti clandestini, in difesa della vita. Infelice tuttavia fu, dopo la sconfitta, il destino di queste donne e dei loro figli: tormentati, picchiati, chiamati “figli della vergogna” e inviati in campi d’internamento, in orfanotrofi o in manicomi.
La nostra società si svela, dunque, bigotta e opportunista, escludendo rari e nobili momenti. Da un lato si mostra entusiasta per la venuta al mondo di una vita,dall’altro la recrimina se questa non avviene nei termini e modalità da essa stabilite.Da una parte si prodiga a difendere e tutelare l’infanzia, senza differenze di etnia;si mostra sconvolta di fronte a trattamenti crudeli,sempre pronta a schierarsi da parte della vita, dall’altra rifiuta e criminalizza innocenti con appellativi spietati e discriminanti;esalta la famiglia e i figli ma nel contempo pone l’aborto come una valida e legittima soluzione a ciò che trasforma in “problema”.
Poniamo fine a questa ipocrisia e riconosciamo i giusti valori e la vera felicità che ritroviamo nel nostro animo: Amore per la Vita, Amore per l’Uomo, Amore per la Tradizione.