domenica 28 marzo 2010

VOTA ANTONIO LA TRIPPA

Ed eccoci ancora ad una nuova tornata elettorale che riempie le nostre città di sorrisi ammiccanti, denti bianchissimi e messe in piega da urlo. Ormai la politica italiana, e mondiale se vogliamo, è diventata un gigantesco talk-show dove gli aspiranti parlamentari gareggiano su barzellette, prove di canto (vedi Emanuele Filiberto in quel di Sanremo…) e promesse di vario genere. Il voto è diventato un indice di gradimento estetico perché, diciamoci la verità, gli italiani non sanno minimante chi sono questi personaggi che riempiono i cartelloni pubblicitari delle nostre strade. O peggio, in alcuni casi sono vecchie conoscenze che hanno fallito mandati elettorali locali (ex sindaci dimessi o destituiti, ex assessori provinciali assenteisti ecc) e per premio vengono gettati nella mischia delle regionali. Il tutto senza che si parli di soluzioni ai veri problemi degli italiani: precarietà sul lavoro (per chi non l’ha ancora perduto), mutui faraonici per case di 50 metri quadri, privatizzazioni selvagge di beni pubblici indispensabili per la popolazione. Difatti è passato quasi nel silenzio più totale l’ultimo saccheggio legalizzato, con la legge sulla forzata immissione di soggetti privati nella gestione dell’acqua pubblica a partire dal 2011. Definirsi oggi antidemocratici è rinnegare questo scempio che di cose, questa orgia di caste, questa conigliera di furfanti che prolifera alle nostre spalle. La democrazia, nonostante si fregi di essere portatrice sana dei valori e diritti fondamentali dell’uomo, non ha mai vinto in nessun paese con la forza delle proprie idee ma si è sempre instaurata attraverso delle guerre e degli investimenti di ingenti somme di denaro. Ezra Pound la definiva semplicemente come “il dominio dei prestatori di denaro”. La democrazia non genera libertà e uguaglianza, così come non racchiude nulla di tutto ciò, è solo una forma politica con la quale si pretende governare. Essere antidemocratici non significa essere per la violenza e per i soprusi nei confronti del popolo ma solo non riconoscere questo sistema, questa forma politica appunto, come la migliore. L’alternativa c’è e non è certo una tirannia come in molti stucchevolmente si ostinano ad affibbiarci. Uno Stato Organico, come brillantemente e straordinariamente viene rappresentato nel suo omonimo libro da Rutilio Sermonti, che abbia nel suo parlamento non partiti politici, ma rappresentazioni organiche di tutti gli strati sociali e produttivi della nazione. E così che grazie ai partiti politici ci ritroviamo ministri di ogni sorta. Basti pensare al Ministero del Turismo, che per l’Italia dovrebbe rappresentare il fulcro della propria economia con tutte le ricchezze naturali e culturali che il nostro paese si ritrova, affidato alla Brambilla, una curiosa donna conosciuta solo perché ad una trasmissione di Vespa è stata ripresa in atteggiamento sexy con reggicalze in bella vista e che nella sua carriera può vantare l’accesso alle finali di Miss Italia nel 1986 e la vittoria a Miss Eleganza Emilia sempre nello stesso anno. Evviva la Democrazia quindi, e alle prossime regionali VOTA ANTONIO LA TRIPPA!

martedì 16 marzo 2010

CHE GUEVARA : MITO E FALSITA'

“La mia patria è laddove si combatte per le mie idee”. Perdonateci (se potete), ma non riusciamo proprio a trovare niente di meglio a questa evoliana citazione per descrivere quel medico argentino che, da Cuba alla Bolivia passando per il Congo, fece della rivoluzione socialista, incarnata nella lotta all’oppressione statunitense, il motivo della propria esistenza. Eh si, stiamo parlando proprio di lui: a quasi quarantatre anni dalla sua esecuzione riesce ancora, con la sua immagine di guerrigliero vissuto e trasandato, ad infiammare il cuore di molti. Dalle chiassose piazze alle più “contenute” sale-conferenza è ancora oggetto di discussione, di lode e perché no anche di critica. Contro le aspettative di molti e le rosicate di troppi, queste poche righe di studio vanno ad Ernesto Guevara de la Serna detto El Che. Un approfondimento più che doveroso, compiuto da una (contro)parte politica, dalla quale chiunque si aspetterebbe la glorificazione di ben altri personaggi storici. Erroneamente. Perché? Innanzitutto cominciamo subito coll’affermare che è alquanto contraddittorio considerare l’icona del rivoluzionario che si è battuto contro il capitalismo, un marchio registrato con tanto di proprietari ai quali pagare i diritti d’autore. Perciò, chiunque si rispecchi nei valori di coraggio, libertà, anticapitalismo e giustizia sociale può fare proprio l’esempio militante del Che. Chiarito questo, ormai quarantennale, malinteso vediamo di mettere in luce ciò che accomuna la nostra battaglia politica con la visione che ebbe anni fa’ il Comandante. Oltre ad essere stato un fervente socialista (da sempre in dissidio con l’URSS e il suo modello) E. G. fu’ un nazionalista convinto: ammiratore di Jose Antonio Primo de Rivera, leader dei falangisti spagnoli; non nascose mai le sue simpatie per il presidente argentino Juan Domingo Perón, leader dell’omonimo partito d’ispirazione fascista. Ma è proprio nella fase successiva al decesso che comincia a riscuotere consensi dalla cosiddetta “destra radicale”, italiana e non: tempo un mese, due autori del Bagaglino, il cabaret romano “spudoratamente di destra”, elaborano una ballata in onore del Che; l’anno seguente viene girato il primo film sulla vita e sulla morte di Guevara con soggetto e sceneggiatura di Adriano Bolzoni, reduce di Salò; per non parlare del Une passion pour Che Guevara scritto dal tradizionalista francese Jean Cau; concludendo con il più recente Lotta e Vittoria Comandante di Gabriele Adinolfi leader del disciolto gruppo extra-parlamentare terza posizione. Ma chi è stato davvero per noi quest’Uomo? “Semplicemente” il rivoluzionario che, dopo aver liberato Cuba, al grido di me ne frego, rifiutò la poltrona di ministro continuando la lotta armata per la causa anticapitalista in altre nazioni, a nostro parere la massima tramutazione in sostanza dell’espressione il sangue contro l’oro.
Pensando poi a tutte quelle carnevalesche manifestazioni in cui il Che viene sventolato tra una bandiera dell’arcigay e una della pace (quale pace? quella “esportata” nel 2000 in Kosovo?) , non possiamo che scoppiare a ridere in faccia verso coloro che ancora ci accusano di “appropriazione indebita”. A questi bipedi ricordiamo che il Comandante oltre ad essere stato il promotore della campagna contra los maricones, di sicuro nei suoi innumerevoli scontri a fuoco non era uno che “metteva i fiori nei propri cannoni”. Calza a pennello la citazione dell’ex statista cinese, nonché estimatore reciproco di Ernesto Guevara, Mao Tze Tung: “La rivoluzione non è un pranzo di galà, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza”.

sabato 13 marzo 2010

IL PREZZO DELLA DEMOCRAZIA

Nella società moderna il perno attorno al quale ruota la nostra vita è senza ombra di dubbio il denaro. La scuola è passata dall’essere un centro di arricchimento culturale ad un luogo ove addestrare uomini e donne al lavoro, una sorta di pre-stage lavorativo. La salute di una nazione viene misurata dal Pil, l’avanguardia di essa è legata alla sua ricchezza. I principali enti pubblici privatizzati, in mano a multinazionali che dovendo rendere conto non al Popolo bensì ai propri azionisti, ha come scopo principale solo quello di lucrare sulla salute e il bene delle persone. Ma al di la di quelle che sono considerazioni di situazioni piuttosto palesi e palpabili, è bene gettare un Fascio di luce anche su quelle circostanze meno apparenti e che ai più sfuggono. La nostra Repubblica è fondata sulla Costituzione, un pezzo di carta scritto da Antifascisti che ormai non ha più nessun valore sociale, giuridico e pratico. A parte le considerazioni che potremmo fare sulla sua utilità (a cosa serve ad uno stato Civile una “super-carta” sulla quale affiggere i “diritti inviolabili” dell’Uomo a fronte di uno stesso Sistema Legislativo ben strutturato e articolato?) vogliamo attirare l’attenzione dei lettori sul fatto che essa è quotidianamente stuprata e calpestata dai vari politicanti locali e nazionali. L’art.21 della Costituzione stabilisce che: tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. A questa affermazione andrebbe però aggiunto: pagando una tassa e con il placido benestare di tutti gli organi di controllo dello stato demo-borghese. Ebbene sì, se pensiamo ad esempio agli stadi italiani vi risulta che voi possiate “liberamente esprimere il vostro pensiero” senza il compiaciuto assenso del questurino di turno? Oppure provate semplicemente a scrivere qualcosa su un pezzo di carta e andate a distribuirlo per le vie della vostra città: arriveranno dei simpatici signori vestiti di blu che vi accuseranno di stampa e distribuzione di volantini clandestini. E se magari scoprissero che avete simpatie per gli anni che vanno dal 1922 al 1945 allora i guai potrebbero aumentare di gran lunga… Così anche voi dovrete pagare il vostro dazio, il prezzo che la democrazia chiede per quella Libertà che circa 60 anni fa vi hanno donato (in teoria), dovete registrarvi, dovete pagare allo Stato il pizzo e siete a posto! L’importante sarà essere composti, vezzeggiare i politici di turno, sorridere e compiacersi di quanto si stia bene nell’Itaglia di questi Itagliani, lamentarvi perché la benzina è salita troppo e gioire perché al gratta e vinci avete vinto 50 euro. Alle prossime elezioni votare per il personaggio che vi sta più simpatico, che al Photoshop è venuto meglio, e sapere inconsciamente che tanto non cambierà nulla. L’importante sarà non dare troppo fastidio, non dire cose scomode, non risvegliare nessuno dal torpore consumistico a cui siamo stati addormentati. Fare cioè esattamente il contrario di quello che vogliamo fare noi: serrate i ranghi, stringete le fila, e che la luce radiosa del Sole della vittoria possa splendere sui vostri visi e nei vostri cuori!